Generale Giuseppe Morabito membro del Direttorio della NATO Defence College – Come tutti sanno, alla fine di novembre, in Siria si è riaccesa una guerra civile a lungo latente, con combattenti ribelli che avanzavano contro l’esercito siriano comandato dal presidente Bashar al-Assad. I ribelli hanno conquistato rapidamente il controllo di Aleppo, seguiti da vicino da Hama, Homs e, l’8 dicembre, dalla capitale Damasco.
Il regime di Assad è caduto e Bashar al-Assad fuggito a Mosca presso uno dei suoi alleati di lunga data, Vladimir Putin e… rimarrà li per sempre!
Nel fine settimana appena trascorso è arrivata la notizia che la seconda città più grande della Siria, Aleppo, era caduta in mano a gruppi ribelli e che il conflitto, relativamente congelato, in Siria ha iniziato a sciogliersi rapidamente e in modo piuttosto spettacolare soprattutto perché’ quasi inaspettatamente i ribelli contrari al governo siriano hanno ‘invaso” la Siria senza relativi ostacoli. Districarsi per capire chi siano stati i principali attori di questo conflitto può essere un compito complicato. In generale, ci sono importanti attori geopolitici come Russia, Iran, Stati Uniti e Turchia, e attori locali come il governo siriano e le sue forze guidate da Bashar al-Assad; Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un gruppo terroristico (designato così dagli Stati Uniti) che cercava di ricostruirsi, l’Esercito nazionale siriano, sostenuto dalla Turchia, e vari gruppi curdi.
Fino ad una settimana fa Assad controllava circa il 70% del territorio siriano e appariva come venisse sempre più appoggiato nella comunità internazionale, in uno sforzo di normalizzazione guidato dai paesi arabi della regione, ma qualcosa ha fatto precipitare la Siria nella crisi attuale.
Infatti, nel 2011, quando le rivolte hanno spazzato il Medio Oriente (conosciute anche come Primavera Araba), un’ampia varietà di attori in Siria hanno cercato in qualche modo di respingere la loro leadership autoritaria di Assad. La risposta dello stesso Assad alle loro richieste di riforma è stata rapida e decisa. Ha condotto, riuscendovi, uno sforzo importante e senza scrupoli (aiutato nel corso degli anni da Russa, Iran e i terroristi di Hezbollah) per reprimere ogni forma di opposizione.
Quando, negli ultimi dieci anni, il regime siriano ha dovuto affrontare sfide al suo governo, si è rivolto a varie combinazioni di Mosca, Teheran e Hezbollah per riconquistare la propria posizione.
Ovviamente, tutti e tre gli attori appena citati sono preoccupati in questo momento. La Russia è in difficoltà mentre la sua guerra contro l’Ucraina entra nel suo terzo anno e vede anche tempi potenzialmente migliori per l’amministrazione statunitense entrante, dato il desiderio dichiarato del presidente eletto Trump di porre finalmente e rapidamente fine al conflitto.
Tuttavia, secondo le stime degli Stati Uniti, le vittime della Russia tra morti , feriti, nel conflitto sarebbero più di mezzo milione, e il recente sforzo di reclutare 10.000 soldati nordcoreani dimostra che era impossibile per la Russia dare molto sostegno a Damasco in questo momento. L’Iran ha dovuto affrontare un’enorme pressione regionale, compresi molteplici attacchi convenzionali diretti sul suo territorio, e un grave decadimento operativo di alcuni dei suoi partner più stretti, vale a dire i gruppi terroristici di Hamas e Hezbollah. Questi ultimi, in particolare, hanno svolto negli anni un ruolo fondamentale nell’addestramento e nel sostegno delle forze governative siriane. Tuttavia, Hezbollah ha perso gran parte dei suoi dirigenti, un gran numero dei suoi operatori e gran parte delle sue infrastrutture in una serie di attacchi di varia natura avvenuti quest’autunno. In parole povere, nessuno di questi attori ha avuto la capacità di sostenere Assad nell’ultima settimana o di impedire la sua caduta definitiva.
Cosa avverrà ora dipende molto da Washington. Negli anni successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti speravano che il regime di Assad sarebbe stato utile nella lotta ai terroristi. Sfortunatamente, ciò non si è rivelato vero e invece il governo siriano avrebbe effettivamente consentito un canale ai combattenti che prendevano di mira le truppe americane in Iraq. Quando il regime di Assad si è trovato di fronte alla minaccia che l’ISIS (lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria) conquistasse aree della Siria (e dell’Iraq), gli Stati Uniti e più di 70 paesi hanno formato una coalizione per indebolire il suo principale avversario. Questo era esattamente l’approccio corretto, ovviamente, ma consentiva anche al regime di Assad di mantenere il controllo del paese. Gli Stati Uniti hanno agito con dinamiche geopolitiche (molta diplomazia sotterranea) in Siria, come quando la Russia è stata pesantemente coinvolta in vari momenti nel conflitto, compreso l’uso della sua forza aerea per sostenere Assad, o quando la Turchia, anche se alleato della NATO, ha attaccato i partner statunitensi in Siria. Questo la dice lunga su Erdogan e le sue mire doppiogiochiste.
L’esercito americano è presente in Siria dal 2015 circa; attualmente ci sono circa 900 soldati statunitensi schierati in Siria. La loro missione era ed è focalizzata sull’indebolimento dell’Isis, ma la questione è diventata più confusa, soprattutto perché queste truppe hanno dovuto affrontare numerosi attacchi da parte delle milizie affiliate all’Iran. Questi attacchi hanno subito un rallentamento di recente, il che ha consentito alle truppe statunitensi di aumentare le operazioni contro i resti dell’Isis.
Le prossime settimane saranno cruciali per la Siria poiché l’opposizione guidata da HTS prenderà il controllo del territorio e delle istituzioni siriane. Le rivoluzioni sono spesso caratterizzate da una straordinaria unità su ciò che un gruppo di attori coinvolti non vuole vedere (in questo caso, il governo dispotico di Assad) ma possono diventare rischiose quando questi attori iniziano a immaginare ciò che vogliono. Dovremmo osservare come e in che modo i vari attori dentro e fuori dal campo di battaglia siriano inizieranno a strutturare i contorni di una nuova Siria post-Assad.
Anche se ci sono molte grandi domande che incombono sulla Siria, alcune meritano particolarmente di essere esaminate nelle prossime settimane. Partendo dall’interno, come opererà HTS nelle aree conquistate. Sebbene HTS pare si concentri più su questioni locali come governance e sicurezza, il suo approccio islamista potrebbe allontanare il consenso di molti in Siria e all’estero. Passando alla regione più ampia, quale approccio adotterà’ la Turchia per sostenere una nuova Siria è un grave problema. Ankara vede sicuramente gli eventi attuali come un’opportunità per consentire ad alcuni degli oltre 3 milioni di rifugiati siriani in Turchia di tornare finalmente a casa, ma sicuramente è anche preoccupata che l’escalation dei combattimenti possa creare nuovi rifugiati che andranno cercando un rifugio. Per non parlare del futuro delle popolazioni curde a cui Erdogan non vede l’ora di imporre un destino simile, se non peggiore, a quello riservato agli armeni
Infine, rimane l’approccio della nuova amministrazione Trump perché’ ancora non si sa se manterrà le truppe statunitensi in Siria. Durante il suo primo mandato, il presidente Trump ha lavorato per una loro ristrutturazione (eufemismo, infatti, l’allora segretario alla Difesa Matti si è dimesso a causa del suo disaccordo su questa decisione) ma questa non è mai stata attuata. In definitiva, sarà necessario presentare al presidente Trump una dimostrazione convincente del fatto che avere truppe statunitensi in pericolo in Siria è imperativo per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Infine, c’è l’Europa e il rischio di un ulteriore afflusso di immigrati clandestini e, soprattutto, che tra i rifugiati si celi qualche terrorista in fuga da un’area per lui non più ospitale. Non una buona prospettiva…
didascalia: Generale Giuseppe Morabito membro del Direttorio della NATO Defence College